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Crollo in Borsa delle società di scommesse in Rete

Business: dade 12 Ottobre 06 @ 12:00 pm


Crollo in Borsa delle società di scommesse in Rete

PartyGaming meno 59%, Sportingbet meno 69%, World Gaming meno 64%: nessuno avrebbe mai scommesso su un ipotetico crollo verticale delle quotazioni delle aziende la cui fortuna è – o forse era – il gioco d’azzardo online.

Le entusiasmanti prospettive di business, lasciate intravedere dal dilagante ampliamento della platea degli scommettitori via Internet caratterizzato da una crescita oscillante tra il 38 ed il 40% negli ultimi due mesi, sono state folgorate dall’incombente Internet Gambling Prohibition and Enforcement Act.

Le disposizioni, a voler mutuare un celebre spot, non sono nuove ma semplicemente rivitalizzate con una sorta di "ammorbidente" giuridico: è stato rinfrescato quanto stabilito dal Wire Act, che nel 1961 sancì divieto di compiere transazioni per gioco d’azzardo attraverso linee telefoniche. Nelle discussioni alla Camera dei Rappresentanti c’è chi ritiene inopportuno ed illegittimo applicare regole emanate antecedentemente la nascita di Internet, ma la norma va avanti.

Il Congresso, il 30 settembre, arriva così a mettere al bando roulette e casino online, poker e baccarà, "betting" e "gambling", lasciando fuori soltanto le corse di cavalli. Pur mancando ancora il varo ufficiale della legge con la firma del Presidente USA, le riverberazioni sui mercati finanziari non si sono fatte attendere.

Il provvedimento di recente introduzione nel panorama legislativo statunitense giunge ad un capolinea mancato da analoga iniziativa immaginata già nel 1997 e poi avviata nel 1999.

Quasi dieci anni fa oltre oceano c'era già chi guardava preoccupato i 200 milioni di dollari di giro d’affari del "gambling online" e presagiva entro fine secolo apocalittici 10 miliardi, proporzionalmente non così distanti dai 12 recentemente constatati. Come gli assi delle carte, erano quattro i pericoli immaginati all’alba del World Wide Web; le potenziali frodi attraverso Internet, l’accesso di minori a siti con simili opportunità di scommessa, la diffusione della febbre del gioco, la difficoltà di riservare allo Stato gli introiti derivanti da iniziative di tale natura opportunamente autorizzate e controllate.

Il primigenio tentativo viene contrastato da una lobby capitanata dal turbolento Jack A. Abramoff, uomo d’affari al centro di numerosi scandali politici che recentemente ha meritato cinque anni e dieci mesi di reclusione per corruzione. L'insuccesso della proposta di legge è bollato 18 luglio del 2000.

Stavolta la corsa sembra giunta al traguardo.


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