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Generale: Dylan666 20 Dicembre 04 @ 00:01 am

8. Il rituale di iniziazione

Copyright© 1998 Federica Guerrini

Chi può dire di essere un "vero hacker" o "hacker storico" ha sempre attraversato un rituale di passaggio o transizione, suddiviso in varie fasi. La prima è costituita dal cosiddetto "stadio larvale", cioè un periodo di concentrazione maniacale sul computer. Sintomi comuni includono il perpetrarsi di più di un hacking run (sessione di hackeraggio) di 36 ore alla settimana e il dimenticarsi di ogni altra attività: la sessione di hackeraggio è particolarmente significativa in quanto costituisce un'esperienza liminare per l'hacker, un tempo e un luogo "messo fra parentesi" rispetto alla vita quotidiana. Questa fase può durare da sei mesi a due anni: chi riesce a passare tale stadio raramente potrà riprendere una vita normale, ma il travaglio è necessario per produrre dei veri maghi programmatori. Il livello più elevato della "gerarchia" hacker è infatti il wizard: mago del computer è solo chi conosce il funzionamento di software o hardware estremamente complesso e che ha, di solito, una conoscenza specializzata di qualche programma. Ma essere un "vero hacker" implica soprattutto condividere un sistema di valori, sintetizzare l'etica: implica inoltre una mentalità e un modello di vita le cui pratiche sociali e culturali diano forma espressiva all'esperienza di vita materiale.

Dall'analisi semiotico strutturale di tale rituale di iniziazione si delinea un contrasto tra chi osserva e chi è osservato. Chi osserva promuove un programma narrativo finalizzato al raggiungimento di oggetti di valore, in questo caso conoscitivi: il neofita, quindi, è in una relazione tensiva dovuta alla percezione della mancanza, all'aspirazione. Al contrario chi è osservato è già congiunto con il sistema di valori desiderati, ha cioè acquisito una competenza sotto forma di modalità del fare: il "saper fare" acquisito dal soggetto lo inscrive quindi all'interno dell'universo di valori condivisi dalla comunità hacker.

L'essenza dell'hacker deriva dalla gioia che egli prova nell'esplorazione e nella scoperta di nuovi modi per circumnavigare i propri limiti, in un susseguirsi di sfide intellettuali alla propria abilità: una specie di cyber-enigmista dotato di concentrazione maniacale, meticolosa precisione e perseveranza nel problem solving. Sempre in cerca del rischio e dell'eccitazione, gli hacker sono spinti dal desiderio di imparare tramite i computer: irrompono così nei sistemi informatici tramite un bug (baco, difetto del programma) nelle protezioni, aggirandone tutti i sistemi di sicurezza, entrando nel cuore della "macchina" assumendone il controllo assoluto, per acquisire o migliorare la propria conoscenza su di essa.

La bellezza nell'hackeraggio è taoistica e interiore, un'audace miscela di idealismo e cerebralità: non stupisce quindi che gli hacker si autodefiniscano come una sorta di "intellighenzia" del computer, l'élite intellettual-imprenditoriale della loro generazione, l' "aristocrazia del computer" (Levy 1996: 185): in pratica, si autopercepiscono come i filosofi tecnologici e gli architetti di un futuro dominato da conoscenza, esperienza, intelligenza umana o digitale.





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